Originariamente apparso su Isola Illyon.
Il tema sociale di quest’oggi è l’integrazione della donna nelle opere sci-fi.
C’era una volta quel pazzo di George Méliès, che in Viaggio nella Luna, ci racconta della società dei seleniti (gli abitanti della Luna) i quali sono verdi, con chele e becchi…tipo dei pentapalmi, li avete dalle vostre parti? La peculiarità del re di questi alieni era di accompagnarsi a sette donne, le stelle dell’Orsa, perfettamente umane. Gusti strani, per uno con chele e becco, ma per lungo tempo la fantascienza ha accostato ad esseri mostruosi donne molto belle, usando la loro presenza solo come un’attrattiva per il pubblico maschile. E, difatti, per lungo tempo l’interesse verso la sci-fi è stato prevalentemente maschile.
Ci sono voluti gli anni Ottanta e soprattutto Novanta per portare alcune donne, comunque in percentuale minore, ad interessarsi di questo genere. E di acqua sotto ai ponti ne è passata prima di arrivare alla principessa Organa e all’ufficiale Ripley, che rivestono un ruolo paritario rispetto alle controparti maschili.
Nonostante tutto, però, è sbagliato dire che, dagli inizi del Novecento fino alla fine dello stesso secolo, la situazione sia stata solo quella di Méliès. Infatti ci sono alcuni interessanti esempi di come le produzioni sci-fi, e in particolare quelle televisive, hanno cercato di ribaltare la situazione.
Un frame dal film Viaggio nella Luna, di G. Méliès. |
Il tenente Nyota Uhura, sebbene abbia un ruolo marginale, detiene cinque primati fondamentali della tv. |
Se consideriamo il ruolo sociale di Uhura, ha cinque primati fondamentali: prima persona nera con ruolo di comando, prima donna con ruolo di comando, prima donna nera con ruolo di comando, prima donna a mostrare l’ombelico in una serie tv e prima coinvolta in un bacio interrazziale. Wow!
Detto questo, si capisce perfettamente perché Luther King la invitò a tenere duro. Il vero dispiacere è che l’anno del bacio interraziale, il 1968, fu anche quello della morte del reverendo, ma da ammirare è il messaggio sociale che Star Trek ha voluto dare a tutto il mondo. In generale, non solo con la presenza di una donna, ma anche di una persona di colore, di un cinese, di un russo e di un mezzo alieno (il signor Spok). Evviva l’interrazzialità, quindi, ed evviva anche le donne, che in modo esiguo – a causa del gusto dell’epoca – cercano comunque di essere importanti.
D’altro canto, più i tempi sono avanzati, più Star Trek ha cercato di restare al passo, arrivando giustamente ad affidare le chiavi (codici) della “Enterprise” (no, della USS Voyager!) ad un comandante donna, il capitano Kathryn Janeway. Indicativo è il fatto che voci di corridoio suppongono che il cognome di Kathryn sia stato scelto come omaggio alla scrittrice femminista Elizabeth Janeway… ho detto tutto, posso chiudere qui l’articolo.
Un’altra piccola curiosità, sempre riguardo a Star Trek – Voyager è che, quando gli ascolti sono calati, al posto che tornare ad un capitano uomo e cambiare serie, è stato deciso di introdurre un’altra donna, l’amatissima Seven of Nine. Come se non bastasse, visto che la stessa serie contava anche una terza donna di spessore, l’ingegnere capo B’Elanna Torres… mezza klingon e mezza umana. Epic wow: Voyager è stata la serie più femminista di Star Trek!
Ma era il 1995, cioè quel periodo in cui la sci-fi si stava affrettando ad integrare la presenza femminile nei cast, e non più solo come infermiere, segretarie, pesi morti, corpi in vetrina, personaggi sacrificabili, principesse da salvare e androidi complessati.
E ora, nel 2014, sebbene ci sia ancora qualche difficoltà tecnica, ci sembra per lo meno normale che la donna sia integrata nei ruoli decisionali al pari degli uomini.
Da sinistra a destra: Seven of Nine, Kes, B’Elanna e Kathryn, la quota rosa (piuttosto importante) di Star Trek – Voyager. |
Eppure il paese in cui è nata la serie di cui parlerò fra qualche riga, è sempre stato “speciale”, perché spesso e volentieri governato da donne. “God save the Queen!”, sì illyoners, sto parlando del Regno Unito, la nazione che ha visto donne forti come Mary Stuart (o Bloody Mary), Elizabeth I e Victoria, che addirittura ha guidato la colonizzazione, quindi la trasformazione del suo stato in un impero. E ha visto donne piuttosto peperine, non solo Anne Boleyn che ha scombussolato un governo, ma anche Mary Shelley, la quale è stata una delle prime donne veramente indipendenti in un periodo storico che le pretendeva soggette o ai padri o ai mariti: lei, alla morte dell’amante che poi è riuscita a sposare, ha preteso di crescere da sola i propri figli… come farebbe oggi una vedova o una divorziata. E che ha scritto uno dei capolavori della fantascienza: Frankenstein; or the modern Prometheus. Sì, sotto la Union Jack sono nate donne veramente degne di essere ricordate. E fra queste si annoverano le companions di un importantissimo personaggio della sci-fi: il Doctor Who.
“Dottore, chi?” – dodici attori hanno interpretato questo personaggio amatissimo non solo dagli inglesi (in UK è quasi un eroe di stato). Dodici dottori per 33 anni di longevità della serie, 34 stagioni, 798 episodi, 20 speciali, innumerevoli extra fanmade e 42 companions, di cui la maggior parte sono donne.
A parte la curiosità del numero 42, puramente casuale seppur costituisca la Risposta Ultima per ogni appassionato di sci-fi, ci pensate a quante sono state le spalle del Dottore? Tantissime, e hanno annoverato donne forti in epoche molto diverse.
Il primo episodio di Doctor Who venne trasmesso nel 1963 (prima di Star Trek!), quando in Inghilterra la donna già votava da una quarantina di anni, ma ancora era sottoposta alle convenzioni dell’epoca. Era il pieno dei movimenti femministi del Novecento, un momento molto significativo per introdurre una donna, una professoressa per giunta, come spalla ad un personaggio che, seguendo le orme di altri precursori, rischiava di raggiungere una fama immediata. L’esperimento riuscì alla perfezione e a Barbara Wright, la prima companion, spettò anche il compito di essere quella che, davanti ai primi sbotti d’ira del Dottore, prende il controllo della situazione e lo ferma prima che faccia qualcosa di irreparabile. Tutti i companions fanno questo, ma è significativo che, già dagli anni Sessanta, possano farlo anche le donne.
Tutti i companions di Doctor Who, dalla prima serie, alla trentatreesima: fra loro risalta una notevole quantità di donne. |
Forse oggi ci sembra non sia così, perché adesso le compagne del Dottore sono quasi più forti di lui: lo zittiscono, gli gridano contro, lo esortano a fare la cosa più buona quando lui vorrebbe fare solo la più giusta. Ci sembra normale, come ci sembra normale vedere al cinema una Emily Clarke nei panni della “Metal Bitch” Rita Vrataski che trascina un più debole Tom Cruise / William Cage e lo costringe a svegliarsi, a diventare uomo e a salvare il mondo. Il tenente Uhura e le vecchie compagne del Dottore non hanno un grande impatto, non suonano come unghie sulla lavagna. Provate però ad immergervi in un mondo dove la donna non è niente: beh, in quel contesto la fantascienza ha davvero stravolto tutto.
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