Antonio Serra alle prese con un autografo. |
Originariamente apparso su Isola Illyon.
Avete capito bene, comunque, abbiamo importunato niente di meno che il papà di Nathan Never, uno dei fumetti di punta della Sergio Bonelli Editore.
Antonio Serra nasce ad Alghero il 16 febbraio 1963. All’inizio degli anni Ottanta, dopo aver collaborato alla fanzine di fantascienza Fate Largo, costituisce insieme a Michele Medda e Bepi Vigna il Gruppo dei Tre Sardi. Le sue collaborazioni con la SBE iniziano nel 1985, portandolo l’anno seguente a trasferirsi a Milano.
Ufficialmente entra a far parte della scuderia SBE nel 1987 e, dopo aver sceneggiato alcune storie di Martin Mystère e Dylan Dog, esordisce con il Gruppo dei Tre Sardi con Nathan Never. Disegnato da Claudio Castellini, questo personaggio vede la luce nel 1991 e offre al mercato del fumetto italiano il suo primo eroe fantascientifico, che ha un’importanza cruciale nel mercato del tempo e nella cultura bonelliana.
Partecipa inoltre alla stesura di alcune voci dedicate ai fumetti giapponesi inclusi ne La Grande Avventura dei Fumetti, una raccolta di fascicoli edita dall’Istituto Geografico De Agostini fra il 1990 e il 1991.
Nel 1995, da un coprotagonista di Nathan Never, Serra ed altri autori avviano uno spin-off innovativo perché incentrato su una protagonista femminile, Legs Weaver, per giunta omosessuale. Purtroppo la serie viene soppressa nel 2005, ma Legs non sparisce e torna nella testata principale.
Serra negli anni ha anche sceneggiato storie per Agenzia Alfa, sempre collegata all’universo di Nathan Never, ma focalizzata sul resto dell’Agenzia.
Nel 2001 la SBE edita Gregory Hunter, ispirato ad un personaggio creato in gioventù proprio da Antonio Serra. È una serie di fantascienza, ma con un protagonista più scanzonato di Nathan Never e con atmosfere meno cupe, più simili all’estetica dei film sci-fi anni ’50. Ma Gregory Hunter non ottiene un buon successo e viene soppresso dopo 17 albi.
Insieme a Gianmauro Cozzi, Serra da la vita alla miniserie Greystorm. La serie viene presentata al Lucca Comics&Games del 2009, mentre il primo volume è ancora nelle edicole. La miniserie consta di 12 numeri, è ispirata ai romanzi scientifico-avventurosi (e un po’ steampunk) di Jules Verne e, per la prima volta, una serie Bonelli non ha per protagonista un eroe positivo.
Orfani, l’innovativa serie sci-fi Bonelli. |
Intendi dire se lo considero concorrente di Nathan Never? Beh, un po’ sì, ma è anche vero che alla SBE ogni autore è libero di realizzare i propri prodotti con autonomia totale e questa è una delle grandi forze della nostra Casa editrice. Quindi, quando ho appreso che ci sarebbe stata una nuova serie fantascientifica, e per di più a colori!, ero soprattutto molto curioso. Ho avuto poi modo di leggere gli albi in anteprima e devo dire, non è un segreto per nessuno, che Orfani mi è piaciuto, ma avrei preferito che Roberto (Recchioni, s’intende) utilizzasse scelte narrative che, per quanto mi riguarda, rafforzassero l’impatto della narrazione. Avrei preferito, per esempio, che i giovani protagonisti fossero dei “buoni traditi”, piuttosto che dei “cattivi ingannati”, cioè, alla fine, avrei desiderato leggere qualcosa di più tradizionale. Sicuramente in questo mio pensiero conta molto la differenza d’età tra me e l’intero staff di Orfani. La società intorno a noi si è evoluta e certe cose che a me piacciono ormai non sono più valide, non interessano più al pubblico. Il mercato del fumetto in Italia è in regressione da anni e Orfani è uscito in un tempo che lo pone in una condizione di svantaggio rispetto, per dire, al momento in cui uscì Nathan Never. Orfani ha ottenuto buoni risultati, visto il momento difficile, e Nathan è in profonda sofferenza di vendite, dopo oltre vent’anni di presenza in edicola. Insomma, speriamo che la proposta fantascientifica della SBE, anche grazie alle radicali differenze tra le due testate, non risulti “eccessiva” per i lettori rimasti. Ma lo sforzo di Orfani è quello di catturare l’attenzione non solo come fumetto, ma anche attraverso la multimedialità, una trasformazione complessa che condivido, sebbene non mi appassioni. L’ho già detto: sono vecchio (e stanco) e pensare ai personaggi come protagonisti di film o telefilm ormai non mi interessa più. Sono un fumettaro e vorrei morire fumettaro, anche se non credo sarà effettivamente possibile. Il cambiamento in corso è comunque un buon tentativo di ampliare il raggio di copertura della Bonelli in piattaforme che vadano oltre il fumetto tradizionale.
Il primo numero di Nathan Never debuttò sul mercato italiano nel lontano 1991, ottenendo un boom di vendite oggi impensabile. |
Quando Nathan Never è approdato in edicola, nel 1991, non c’era sul mercato una serie fantascientifica italiana. Per questo è stato accolto molto bene, il numero uno ha venduto 300mila copie e in un secondo momento ci siamo stabilizzati per oltre dieci anni su una vendita di circa 200mila. Cifre oggi inimmaginabili, supportate dal fatto che altre testate, come Tex e Dylan Dog, ottenevano in quello stesso momento risultati ancora più spettacolari. Senza quel sostegno, Nathan non ce l’avrebbe mai fatta. Quando Nathan Never ha iniziato a perdere colpi, attorno al 2000, è stato però in contemporanea con tutti gli altri: tutte le testate Bonelli, tutti i fumetti e gli editori hanno cominciato ad avvertire un calo delle vendite. Questa, è chiaro, è una crisi di altro tipo, creativa e sociale, cui solo in un secondo momento si è collegata quella economica.
Per quanto riguarda cosa rappresenta per la fantascienza italiana… beh, rido a pensarci, ma Nathan è diventato sinonimo di fantascienza al punto che viene citato nei quiz televisivi. Viene usato come metro di paragone, tanto che ho sentito dire, con mio grande stupore, in televisione, parlando di film di fantascienza sul grande schermo, che quella tale pellicola era “una cosa alla Nathan Never”. Poi mi capita, e mi imbarazza, di incontrare alle fiere o a varie manifestazioni, come questa di oggi, tante persone che si sono avvicinate al tema della letteratura d’anticipazione a causa di Nathan. Per loro sembra avere un’importanza. Sogno che sia vero.
Blade Runner, tratto da una novella di P. Dick, ha segnato un’epoca della fantascienza e della cultura. |
Questa operazione di “citazione” è continua, è inutile polemizzare. È sempre stato così, ma è difficile da spiegare alle generazioni cresciute con internet. Il pubblico non ci crede, ma l’originalità è nel modo in cui si contestualizza un tema, non nell’idea che, per sua natura, è già nota. Un’idea del tutto nuova non sarebbe capita e non avrebbe successo. Ho avuto un gran timore che la somiglianza di Orfani con un prodotto come Halo (per citare solo uno dei più evidenti punti di riferimento, ma certo non l’unico) fosse un problema, ma anche Halo assomiglierà ad altro, perché funziona così.
L’allunaggio ha cambiato l’immaginario sci-fi, ma c’è chi è pronto a giurare che l’uomo non è mai andato sulla Luna, o che non lo ha fatto nel 1969! |
Avevo x anni e… no, lo so precisamente quando è successo e non ho bisogno di pensarci. Avevo sei anni, era il 1969. Luglio 1969, lo sbarco dell’uomo sulla Luna. L’evento era talmente importante che la televisione italiana fece una diretta durata un giorno intero. Questa cosa era entusiasmante per me bambino, ma anche per gli adulti, quindi la televisione è stata lasciata accesa, in attesa che l’uomo sbarcasse sul nostro satellite. Mi ricordo che eravamo ad Alghero, dove si passavano allora le vacanze estive, e tutta la mia famiglia era davanti alla televisione. Mentre si aspettava il fatidico momento, la Rai trasmetteva senza sosta film fantascientifici. Mi ricordo tutto, i titoli dei film e la paura per quello che vedevo.
Inoltre per me è stato un periodo di grande entusiasmo. Ero in prima elementare e a scuola avevano portato dei libri che, uno per ognuno, noi alunni avremmo dovuto leggere. Prima dovevamo sceglierli, però, e allora mi ricordo i miei compagni di classe affollati attorno al tavolo dove i libri erano stati messi in mostra. Io non sono mai stata una persona del genere, ho sempre aspettato. Anche in aereo, gli altri prendono i bagagli, si affrettano a scendere, mentre io sono l’ultimo, prendo le mie cose con calma e scendo, senza spintonare, senza agitarmi, senza rischiare di tirare angoli di valigie in testa alla gente. Aspetto, sono una persona che lo sa fare bene. Quindi restai seduto con la speranza che nessuno prendesse il libro con il missile in copertina. Lo avevo visto ed ero restato affascinato dall’immagine, e non potevo che sperare toccasse a me. Quando i miei compagni se ne furono andati e io mi alzai, trovai sul tavolo proprio quel libro, “Dalla Terra alla Luna” di Jules Verne. Un libro, uno scritto che, a ben guardare, è un romanzo umoristico che ha poco a che fare con la fantascienza. Lo scrittore è un francese e la vicenda è ambientata in America, in sostanza fa risaltare gli americani come i soliti spacconi un po’ sciocchi, che era poi il modo in cui i francesi li vedevano. Comunque, all’epoca lo lessi divorandolo e questa passione proseguì pian piano, anche grazie a mio padre che, viaggiando molto, acquistava spesso i volumetti di Urania per passare il tempo in treno.
Allora Star Trek 2 – L’Ira di Khan, perché c’è la prima battaglia “navale” fra astronavi… o meglio, la prima che io abbia visto. Sicuramente c’è qualcosa di precedente, ma questa per me è stata la prima.
Il primo dei nuovi film di Star Trek mi ha divertito, ma il secondo è un vero pasticcio. Quando smetti di cercare di ricondurre la nuova Ira di Khan alla prima versione, allora è anche godibile. Tuttavia, se cerchi i riferimenti… resti deluso, perdi il filo, non ti godi proprio niente. E poi, a me piace quello vecchio. Non fa testo che a voi giovani il nuovo sia piaciuto, perché c’è un salto generazionale che rende Star Trek qualcosa di diverso per noi e per voi, anche se avete visto le stagioni per intero. Insomma, tanto per cambiare, sono troppo vecchio per il “nuovo” Star Trek.
“Sei ancora vivo, vecchio amico mio” è una citazione tratta dal secondo dei film classici di Star Trek, l’Ira di Khan appunto. Con questa celebre frase abbiamo voluto salutare Antonio. |
Ora faccio la domanda che non si deve fare. Star Trek o Star Wars?
Vuoi proprio farmi guadagnare le ire dei fan dell’uno o dell’altro! Diciamo che preferisco Star Trek, ma non è vero. Sono due cose diverse. Star Trek è fondamentalmente più realistico perché non ha una struttura fiabesca. Il mio personaggio preferito di Star Wars, invece, è il robottino che appare durante lo scontro finale nella Vendetta dei Sith, quando Anakin praticamente gli salta sopra, lo destabilizza e rischia di farlo cadere nella lava. Lucas si preoccupa di far vedere il dramma del robottino, quindi ci preoccupiamo anche noi della sua sorte. È una cosa fantastica, oltre che del tutto sbagliata dal punto di vista drammatico.
In ogni caso, in generale, tutti i droidi di Star Wars mi piacciono molto, ma quest’opera è interessante anche sotto altri punti di vista. È un mondo ben costruito e questo, unito alla quantità di personaggi, soprattutto della nuova trilogia, ti permette di focalizzarti più che altro sul contorno. D’altra parte, i protagonisti sono veramente troppo stereotipati. Mi fa sorridere che quelli cui la nuova trilogia non è piaciuta si intestardiscano sul fatto che quella vecchia avesse una storia più “seria”. La verità è che la trilogia classica era più semplice, perché la tecnologia era più limitata. Poi, quando George Lucas ha avuto la possibilità di farlo, ha corretto quello che non gli era stato tecnicamente permesso di girare all’inizio. Ma è un discorso lungo e complicato…
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