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lunedì 16 febbraio 2015

Orfani e Ringo: il successo della SBE

Originariamente apparso su Isola Illyon.

Torno a parlare di Orfani per la seconda settimana di fila, perché sono monotona e noiosa, e voglio in qualche modo chiudere il cerchio. L’argomento è tutt’altro che esaurito, in quanto l’articolo sulla conferenza Bonelli al LC&G14 non riesce a coprire tutto quello che ci sarebbe da dire e da riflettere su questa fortunata serie Bonelli. Ma l’obiettivo di questo articolo non è quello di prendere in esame i volumi e compiere un’autopsia, bensì quello di considerare alcuni aspetti trasversali del marketing, del making of, della critica aspra o entusiastica che è stata fatta a Orfani. E tirare le somme sulla mia incursione mirata al LC&G14.
Una volta tornata sull’autobus e accomodata sono riuscita finalmente a tornare a respirare. Sul serio: in questa edizione, mentre tentavo di raggiungere punti diversi della cittadella, era difficile persino respirare. Sarà perché Scarlet Witch ha tolto l’aria, sarà perché ad un certo punto i temibili palettatori hanno generato il caos a Porta San Pietro… o sarà perché è stata un’edizione da record, con 240mila biglietti staccati e 400mila presenze, numeri nettamente più alti dell’anno precedente. È sorprendente pensare che neanche i Comicon di San Diego e New York raggiungono cifre così.
Non essere riuscita a visitare gli stand e aver marinato anche il padiglione tutto dedicato a Star Wars ha però avuto i suoi frutti in termini di approfondimento di Orfani, che era poi il motivo principale (insieme all’usuale caccia a Sandman) per cui mi trovavo al LC&G.
Vediamo insieme cos’altro c’è da aggiungere su Orfani (e Ringo).

orfaniringobonelli
Gli Orfani: la Mocciosa, il Pistolero, il Boyscout, l’Angelo e l’Eremita.
Orfani è fuori target rispetto ai normali prodotti Bonelli?
Sì, ma non perché è fantascientifico. In effetti, anche Nathan Never è un fumetto Bonelli che mantiene un tenore sci-fi, e pure Dylan Dog di tanto in tanto si concede al genere. Orfani è atipico come opera della SBE perché ha una costruzione tutta diversa, rivolta al pubblico giovanile piuttosto che a quello degli attempati appassionati. Questo vuol dire che non riutilizza i soliti “cliché” Bonelli, ma introduce una storia innovativa per questo editore, sviluppata con una trama, disegni e colori decisamente freschi. Un po’ quello che era accaduto con Dragonero che, però, ha uno svantaggio fondamentale: non è a colori, e questo comporta da un lato introiti minori per l’editore e dall’altro una minor attrattiva per il pubblico casuale. Gli albi di Orfani, infatti, hanno fascino anche perché tutti colorati e per alcuni versi più simili ad un comics americano, piuttosto che ad un Tex.
Ai giovani i colori piacciono, su questo non c’è dubbio. La specie di “Halo” in copertina piace. Il gergo tutt’altro che ripulito da parolacce e bassezze piace. La storia cattiva piace. La critica sociale, forse, non viene colta.
In ogni caso, per la SBE questa testata è stata la testata dei “primati”:
- prima serie interamente a colori
- prima serie a diventare un motion comic
- prima serie ad arrivare in libreria (grazie alla BAO Publishing) con una raccolta di albi mentre la serializzazione continua.
Bonelli ha voluto mettersi in gioco e ci è riuscita bene.
Questo ha però portato ad aspre critiche, dettate proprio dal senso di “estraneità” percepito dai lettori più accaniti. Mi rasserena ricordare che alla conferenza su Ringo al LC&G presenziavano anche tanti di quegli attempati appassionati di cui parlavo sopra, che forse hanno visto in Orfani un revival della fantascienza italiana degli anni Sessanta e Settanta. Tuttavia, dall’altra parte, è stato anche sventolato che “Sergio Bonelli non avrebbe mai approvato questa serie”. Falso, ha spiegato Roberto Recchioni: la serie è stata l’ultima approvata direttamente da Sergio.

orfaniringobonelli
La Mocciosa e il Pistolero che fanno fuori un alieno, fra colori vividi e tavole straordinariamente dinamiche.
A quale pubblico è rivolto Orfani?
A tutti. Come tutti i fumetti Bonelli non ha un target specifico anche se, come abbiamo visto, il modo in cui è impostato è ottimo per coinvolgere anche quei lettori, vecchi e giovani, che non sono particolarmente affini ai Tex o ai Dylan Dog (tipo me). Però vorrei fare una puntualizzazione doverosa: fumetti, libri e film sono sempre rivolti a tutti, a meno che non siano libri illustrati di Peppa Pig o film horror e splatter. Il resto dei prodotti non ha un target reale: i libri di Neil Gaiman sono dichiaratamente per bambini, ma questo non vuol dire che un adulto non li possa leggere e trovarci qualche riflessione sensata.
Lo stesso vale per Orfani e a maggior ragione, direi, visto che sono presenti due temi molto importanti: quello dell’adolescenza, per i più giovani, e quello della crisi, per gli adulti. L’interesse dell’una e dell’altra categoria può comunque spostarsi da un tema all’altro, tutto dipende dalla riflessione che la lettura induce.
In ogni caso, Recchioni ha puntualizzato che quando loro scrivono la sceneggiatura di Orfani non lo fanno in funzione di un target adulto. A suo parere (e sono d’accordo) lo scrivere pensando solo ai coetanei è uno dei più grandi problemi degli autori di fumetti italiani, che facendo in questo modo non sono in grado di coinvolgere il pubblico giovanile. Lui e Mauro Uzzeo scrivono invece pensando anche ai ragazzi, cercando di coinvolgerli il più possibile nelle loro storie.

Quindi Orfani non è un fumetto che parla solo di guerriglia in salsa sci-fi?
Precisamente, cosa confermata sia da Recchioni che da Uzzeo. Durante la conferenza citata, qualcuno ha chiesto perché nel fumetto c’è una preponderanza di adolescenti, rispetto ad adulti. Perché, insomma, sono i bambini ad essere presi e addestrati, piuttosto che gli uomini? A me la scelta sembra molto logica, in quanto uomini e donne potrebbero non essere propensi ad imbracciare le armi e andare a combattere. Al contrario i bambini si possono plasmare e rendere dei perfetti “super-soldati”, che è quello che succede in Orfani. Oltretutto, a differenza di produzioni americane e orientali, qui i bambini vengono addestrati e mandati in guerra solo dopo anni di apprendimento.
Questo rende preponderante il tema dell’adolescenza e tutti gli sceneggiatori hanno ribadito quanto questo sia importante per loro. Recchioni vorrebbe che proprio la storia dei bambini presi e manipolati, convinti di una falsa verità, diventasse un messaggio per le nuove generazioni, spesso inconsapevoli dei raggiri dei governi e delle dittature camuffate da speranze. Uzzeo, al contrario, affronta il problema dal punto di vista della crescita personale e dell’apprendimento, non del modo migliore per non fare arte e fare cadaveri, ma del modo migliore per crescere degli adolescenti. E, da parte degli adolescenti coinvolti nel fumetto, superare l’adolescenza in un tempo di dittatura, illusioni e guerriglia.

Ringo si muove in un mondo sottoposto ad un’aspra dittatura: in questo bisogna vedere una critica alla destra o alla sinistra italiana?
La domanda è stata posta durante la conferenza citata. Quando è stata formulata, ho immediatamente storto il naso: perché in Italia abbiamo questa pessima abitudine di recepire i prodotti di intrattenimento necessariamente come una critica a qualche partito o movimento politico? Insomma, basta! Bisognerebbe iniziare a considerare la possibilità che la critica fatta da un’opera vada al di là di un partito e che riguardi, invece, un preciso modo di ragionare e plasmare la società.
Ringo fa esattamente questo: critica il modello sociale che sta schiacciando l’Italia e il mondo, fondato su soldi sostituiti da biglietti della lotteria, nuove generazioni instradate da canoni da cui non hanno scampo, adulti incapaci di assumersi responsabilità che vadano oltre il fornire un piatto di cibo e un tetto sopra la testa. Come se tutto si riducesse alla sola sopravvivenza. In Ringo è così, il mondo è in crisi. Ma nella nostra realtà è giusto sia così e soltanto così? Siamo davvero già arrivati al punto di rottura, o abbiamo ancora margine per insegnare dei valori che vadano oltre i gratta-e-vinci? Alla fine, la domanda formulata da Recchioni e Uzzeo è questa.
Quindi niente critica alla destra o alla sinistra, ma la volontà di evidenziare i punti negativi di entrambe.
orfaniringobonelli
La Juric, la responsabile della selezione degli Orfani e, in un secondo momento, della tirannia che troveremo fra le pagine di Ringo.
Infine, una domanda cruciale: Orfani è andata bene o male? Come è andato il primo numero di Ringo? La serie è un fallimento per la SBE?
Risposte in ordine: bene, ottimamente, no. Positivo su tutta la linea, insomma.
Vi sento stridere indignati, le notizie che circolano in internet sono molto diverse, vero? State già pensando che io sia una venduta, una comprata dalla SBE. Che ora che ho intervistato Uzzeo… ops, non dovevo dirlo, doveva essere la sorpresa per la prossima settimana! Sciocca me, sciocca me.
La verità è che è facile prendere i dati di vendita di una casa editrice e tirare conclusioni, ma è meno facile farlo con reale cognizione di causa. Quello che è successo con Orfani è stato che la serie ha destato talmente tanto interesse, che qualcuno ha preso quei dati e li ha letti secondo un punto di vista assolutamente logico, ma estraneo alle usuali dinamiche della Bonelli.
I dati: su una tiratura di 120mila copie del numero 1 di Orfani ne sono state vendute 55mila. Meno della metà, che flop! No, invece no, non è stato un flop. Mauro Uzzeo mi ha svelato l’arcano (per la ventesima volta, grazie Mauro). Il numero 1 di altri titoli vende 20-30mila copie in meno.
E delle altre 65mila copie cosa se ne fa la SBE? Questa è una riflessione personale, ma non è difficile immaginare che andranno a costituire il fondo di magazzino. Non è da pazzi questa idea, tutt’altro. Ci sono case editrici di fumetti, come la famigerata Panini, che hanno una tiratura appena superiore alla vendita effettiva, rendendo praticamente impossibile il recupero degli arretrati a più di qualche anno dall’uscita del volume. È ancora più drammatico il comparto Panini dedicato alla Marvel, nel quale gli albi diventano quasi introvabili (soprattutto per piccole fumetterie) nell’arco di mesi. Inoltre, parlando di marketing Panini, se il numero 1 di una serie vende male, il numero 2 è stampato in ancora meno copie, con un effetto a cascata che causa non pochi problemi per i lettori. Poi per loro è ottimo, in quanto ogni tanto possono ristampare tutta la serie e maggiorarne il prezzo perché la ristampa è sempre in meno copie rispetto alla prima edizione. Follia cui la Bonelli non è mai sottostata: vuoi una serie di questo editore? La trovi, eccezion fatta per gli albi degli anni d’oro magari… ma non c’è problema, perché le testate più famose vengono ristampate in collaborazione con giornali, altri editori, e così via.

Conclusione?
Invito con tutto il cuore a leggere Orfani e Ringo. Magari al posto di comprare il primo tankobon di un manga su cui siete indecisi o iniziare l’ennesima serie DC che sapete benissimo non si concluderà entro il decennio, potreste provare con un fumetto italiano fatto a stagioni: lo potrete fermare quando volete, con la certezza che ogni 12 numeri la storia sarà in qualche modo conclusa.

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